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La Pietra Leccese nell’arte e nell’artigianato

Scritto il27/04/2015 da
Love0
Storia e Caratteristiche

Pietra calcarea, resistente all’usura, è unica nel nostro paese e rara nel mondo (solo a Malta c’è un’altra cava). Il suo colore varia dal bianco al giallo paglierino, è composta in gran parte da carbonato di calcio, carbonato di magnesio, argilla e sabbia. Definita un tempo il marmo dei poveri, si è formata durante il periodo Miocenico dal fango marino prosciugato e compresso; ciò è spiegato dalla presenza al suo interno di molti fossili di fauna marina.

Viene estratta in cave a cielo aperto sparse soprattutto nei comuni di Lecce, Corigliano, Melpignano, Cursi e Maglie, a una profondità che varia da 1 a 40 metri. La profondità fa variare la durezza e la densità della pietra. I banchi superficiali, più morbidi, sono utilizzati per l’estrazione di pietra da utilizzare per realizzare sculture e decorazioni; le più profonde, invece, si utilizzano nell’edilizia per piani di calpestio o per la pietra refrattaria utilizzata per i caminetti.

Sin dal Medioevo, architetti e scultori locali, sono stati richiamati dalle bellezze e duttilità della pietra leccese. Evidenti i bellissimi esempi di architettura in pietra nelle numerose varietà di elementi costruttivi, dalle decorazioni presenti in tanti monumenti ed edifici di tipo religioso nel Salento che hanno prodotto la complessa architettura del Barocco leccese.

Nell’ultimo periodo si è assistito a un ritorno d’interesse per la lavorazione di questo materiale. Quest’ultima, avviene ancora interamente a mano con metodologie tramandate da generazione con l’utilizzo di vecchi arnesi come lo scalpello, la sega, la pialla e raspa, lasciando all’abilità dell’esperto artigiano e alla sua creatività, l’elaborazione del prodotto finale.

La rivoluzione della pietra leccese

Si chiama Hybrid, è salentina ed è una invenzione tutta in rosa. Sono proprio tre donne, infatti, professioniste dell’Università del Salento, ad aver ideato il nuovo “protettivo ibrido organico-inorganico, nano strutturato e fotopolimerizzabile, trasparente, traspirante ed ecologico”.

Il brevetto ha alle basi idee chiare, così come spiega Mariaenrica Frigione, professoressa associata di Scienza e Tecnologia dei materiali, che ha diretto il gruppo di ricerca formato anche da Carola Esposito Corcione e Raffaella Striani, rispettivamente ricercatrice in Principi di Ingegneria Chimica e dottoranda del corso in Ingegneria dei Materiali e delle Strutture: “Sappiamo quanto le chiese del Salento soffrano del degrado della pietra, dovuto agli agenti atmosferici, ma anche quanta manutenzione necessitino le abitazioni costruite con questo materiale bello e fragile. Abbiamo pensato a un prodotto ibrido cioè contenente una componente organica e una inorganica[…]. Il prodotto è nano strutturato, cioè le sue componenti hanno dimensioni nanometriche e questo permette ad Hybrid di non alterare la naturale cromia della pietra, e fotopolimerizzabile, ossia capace di indurirsi dopo l’applicazione in poche ore alla luce, anche solare”.

"In pratica Hybrid verrà applicato sulla pietra in forma liquida, ma dopo poche ore creerà una pellicola solida impedendo, sulla parte trattata, l’ingresso di acqua o di altre sostanze liquide, ovvero di quei fattori che ne determinano il degrado. Contemporaneamente, però, il prodotto permette alla pietra di respirare non impedendo la fuoriuscita di vapore acqueo eventualmente intrappolato e, poiché è trasparente, non altera l’aspetto superficiale della pietra dove è applicato. Come valore aggiuntivo, Hybrid non contiene solventi e non è tossico né per l’uomo né per l’ambiente"

Una rivoluzione per la Pietra Leccese, dotata di una spropositata lavorabilità manuale tanto da renderla nota anche all’estero da sempre. Non a caso Lecce ed il Salento si dicono meravigliosamente adornati dal materiale che proprio la regione fornisce, litotipo tipico del Salento composto principalmente da carbonato di calcio, cemento calcitico e sostanze argillose. Composti che, appunto, donano alla pietra una versatilità unica.

Hybrid al posto del latte. La Pietra Leccese, infatti, proprio per la sua grande duttilità, è molto sensibile anche all’ azione meccanica degli agenti atmosferici, all’ umidità, all’ acqua e allo smog. Basti pensare che nel periodo barocco gli scultori, per rendere la pietra più resistente, la trattavano con il latte: la roccia veniva spugnata o immersa completamente nel liquido in modo da far penetrare il lattosio che avrebbe creato una sorta di strato impermeabile. Hybrid andrà proprio a preservare la Pietra, d’ora in avanti, affermandosi come una soluzione ottimale e di ultima generazione per il Salento e per tutti quei materiali dotati di alta porosità.

Barocco Leccese

Durante il ‘600 la dominazione spagnola, che si affermò sulle rovine di quella aragonese, fece assumere all’arte nuova forma e la costrinse ad adattarsi ai tempi, allontanandosi dall’antica forma classica. Il nuovo stile aveva lo scopo di sorprendere e di stimolare l’immaginazione e la fantasia. In merito al barocco salentino i giudizi dei critici sono stati spesso in contrasto tra loro: alcuni si sono espressi con parole di disgusto mentre altri trovarono in quella nuova arte grandi qualità estetiche.

Il barocco leccese fiorì verso la fine del ‘500, esplose nella seconda metà del XVII, perdurando per buona parte del ‘700. Esso si diffuse in tutta la provincia favorito dal contesto storico e dalla qualità della pietra locale impiegata, la tenera e compatta pietra leccese dai toni caldi e dorati. Anche se legato all’arte romana e napoletana, il Barocco leccese seppe mantenere, e imporre, un’impronta personale e molto originale. Lecce si affermò come centro aristocratico in cui il patrimonio artistico si arricchì per opera della classe dirigente (grandi feudatari e nobili latifondisti) ma soprattutto per iniziativa della Chiesa che volle suggellare il proprio potere e prestigio.

Tra le molte opere realizzate possiamo ricordare: la Cattedrale di Gallipoli, la Chiesa di San Domenico a Nardò, la Chiesa di Sant’Irene e la Basilica di Santa Croce a Lecce. Tra gli artisti più noti segnaliamo: Gabriele Riccardi, Antonio Zimbalo, Giuseppe Zimbalo detto lo Zingarello, Mauro ed Emanuele Manieri, Andrea Coppola.

Giuseppe Zimbalo detto Il Zingarello

Nato e cresciuto a Lecce, Zimbalo proveniva da una nota famiglia di artisti. Il padre Sigismondo svolgeva la professione di mastro architetto ed era figlio di uno dei più noti scultori e architetti leccesi: Francesco Antonio Zimbalo. Iniziò la sua carriera lavorando a fianco del padre, con cui compare in diverse opere edilizie. Proprio per questo fu soprannominato Zingarello, italianizzazione del leccese Zimbarieddhu, che significava piccolo Zimbalo, per distinguerlo dal padre.

Egli si distinse presto quando progettò la parte superiore della facciata della Basilica di Santa Croce (1646), ma l’opera indubbiamente più importante è il duomo di Lecce, iniziato nel 1659, con l’annesso campanile, che Zimbalo realizzò tra i 1661 e il 1682. Fu poi incaricato di costruire il Palazzo del Seminario (1694-1709) e nel 1666 la colonna di Sant’Oronzo. Oltre a numerose altre opere, sue o attribuite alla sua bottega, come l’altare nella Chiesa di Santa Teresa, l’altare in Sant’Antonio, o la Chiesa di Sant’Angelo, ciò che risalta è il ruolo fondamentale svolto da questo artista nella creazione di un linguaggio artistico propriamente leccese. Probabili alcune committenze a Galatina (LE), facciata dei Santi Pietro e Paolo, e Melpignano (LE), chiesa del Carmine. L’ultima opera nota è la Chiesa del Rosario (1691).

Chiesa di San Matteo

Nell’alta facciata ostenta il rapporto convesso-concavo dei due ordini attuato da Francesco Borromini nel romano San Carlo alle Quattro Fontane del 1667, che è anche l’anno d’inizio dei lavori della chiesa leccese, definita dal Gregorovius il “Pantheon del barocco leccese”. Fu costruita su disegno di Achille Larducci per le Terziarie francescane e fu completata nel 1700.

Il prospetto, sistemato in un’area a cuneo dinanzi alla stretta via che curva a gomito e in prospettiva alla piazzetta regina Maria, si staglia con brio monumentale e vivace risalto scenografico sulle circostanti costruzioni, poiché Larducci risolse a vantaggio della chiesa l’angustia del distretto topografico e la mancanza di uno spazio circostante e concepì il San Matteo come una slanciata mole apprezzabile per prospettive di scorcio, di tra le quinte delle viuzze laterali.

Nel primo ordine bugnato si apre, tra due colonne, l’elaborato portale, sul quale posa l’edicola sormontata dallo stemma dell’ordine francescano. Aggettanti mensole a gola rovescia, percorse a solchi verticali a mo’ di triglifi, coronano l’ordine inferiore sul quale si flette il secondo piano, la cui zona centrale ospita la serliana. Il mistilineo, svettante fastigio raccoglie e conclude le accentuate onde degli smussi laterali. L’interno ha una vasta navata ellittica percorsa da paraste – lungo le quali sono le interessanti statue dei dodici Apostoli, scolpite in pietra locale da Placido Buffelli di Alessano – e solcata da brevi cappelle che accolgono altari, sulle quali corrono dieci bifore, una volta protette da grate, dietro le quali le religiose assistevano alle funzioni.

Dagli inizi del secolo l’aula è ricoperta dall’attuale soffitto che sostituì l’originario eseguito in legno. Sul tamburo della porta è il ligneo involucro scolpito e dorato di un organo proveniente dalla Chiesa di Santa Croce, donde derivano i due altari al maggiore altare.Ispirati all’elegante gusto del Cino ed attribuirli a lui e agli artisti della sua bottega sono gli altari caratterizzanti della frastagliata, brulicante decorazione della macchina ad una coppia di colonne tortili.

L’altare maggiore che, con quelli delle Chiese di Gesù e di Santa Chiara, è tra i più sontuosi dei templi leccesi per la sfavillante decorazione plastica e la spumeggiante grazia chiaroscurale, ha una policroma statua lignea di San Matteo scolpita nel 1691 da Gaetano Palatano da Napoli, al di sopra della quale il dipinto in cornice mistilinea sostituisce un coretto, mentre desta curiosità l’affresco della Vergine col bambino per il cornetto di corallo dipinto al collo di Gesù. Proveniente da Venezia e risalente ad epoca anteriore al 1634 è il restaurato gruppo ligneo e policromo della Pietà.

La Cattedrale

La Cattedrale fu costruita in onore del patrono Sant’Oronzo e completamente rifatta da Giuseppe Zimbalo, il maggiore esponente dell’architettura barocca salentina. Questi, risolse il problema per cui chi entrava sul sagrato aveva di fronte non la facciata della Cattedrale, orientata verso il Seminario quindi a destra, bensì la parete laterale della Chiesa: addossò alla lunga parete esterna sinistra una facciata e la promosse a entrata principale; in questo modo immediatamente visibile e di maggior effetto per chi entrava sul sagrato.

Questo prospetto è quindi più esuberante e maestoso: il portone è rinserrato da due robuste colonne scanalate i cui capitelli sono ornati da figure leonine. Ai lati di queste due colonne si trovano due nicchie dall’elaborata cornice, in cui sono alloggiate due statue di santi. La ricchissima trabeazione finemente decorata è sormontata da una alta balaustra alternata di colonne e piastrini, oltre la quale, entro un arco di trionfo, è situata un’imponente statua di Sant’Oronzo. Ai suoi lati, ancora due statue di santi fra pinnacoli, fiori, frutti e stemmi.

Più sobria e contenuta invece la facciata principale, che introduce alla navata centrale della chiesa, e che dall’entrata della piazza non è immediatamente visibile. La parete che corrisponde alla navata sinistra è geometricamente quadrata, mentre quella che corrisponde alla navata destra è coperta dal loggiato dell’Episcopio. Il portone è sovrastato da una lapide con iscrizione ed è fiancheggiato da due colonnine; ai lati di queste ultime si trovano due nicchie contenenti due grandi statue di santi riccamente incorniciate.

L’interno è a croce latina a tre navate divise da pilastri a semicolonne. Sia la navata centrale che il transetto sono ricoperti da uno splendido soffitto ligneo a cassettoni con intagli d’oro, entro cui sono incastonate pregiate tele riguardanti la vita di Sant’Oronzo. Si possono inoltre ammirare altari tipicamente leccesi dello Zimbalo, con le colonne tortili riccamente intarsiate, posti nelle sontuose cappelle laterali. Due scalette conducono poi alla cripta articolata in tre navate suddivise in una folta schiera di colonne di pietra locale dai capitelli singolarmente ricchi.

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