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Il pellame risorsa fondamentale per l’artigianato

Scritto il10/06/2015 da
Love0

Il pellame è stato uno dei primi materiali che l’uomo ha imparato a lavorare e ad utilizzare. È stato usato come recipiente, come indumento e anche come semplice elemento decorativo. Le caratteristiche di questo materiale naturale lo rendono malleabile e adatto a ogni uso.

La pelle, originariamente, era ricavata solo dagli animali frutto di battute di caccia e, successivamente, anche dagli animali di allevamento, riciclando un materiale considerato di scarto nella catena alimentare. Le pelli, prima di essere utilizzate, necessitano di un accurato trattamento per evitare che il prodotto vada in putrefazione ad alte temperature o si irrigidisca alle basse temperature. La “concia della pelle” è il processo lavorativo che si deve seguire per evitare questi inconvenienti. Probabilmente per caso, l’uomo primitivo si accorse che le pelli esposte al fumo dei fuochi, specialmente di quelli alimentati con foglie o legno fresco, duravano molto di più nel tempo. Gli antichi guerrieri romani e greci utilizzavano un cuoio molto duro conciato al vegetale per costruire scudi e corazze.

Durante il Rinascimento, l’arte di lavorare e decorare il cuoio ebbe un notevole sviluppo. L’uso del cuoio era ampiamente diffuso anche per produrre manufatti di uso più popolare, come per esempio calzature, che restavano, tuttavia, un manufatto piuttosto costoso non accessibile a tutti.

Fino alla seconda metà dell’Ottocento, la concia al vegetale era la principale concia utilizzata. Solo una piccola quantità di pelli destinata ad usi di lusso veniva conciata con allume (composti dell’alluminio): metodo di concia utilizzato ancora oggi. Come si vede alcuni aspetti della tecnologia conciaria risalgono addirittura alla preistoria e sono rimasti sostanzialmente invariati per secoli. Un’accurata scelta del pellame, opportunamente trattato con i migliori processi di concia, ed il successivo processo di lavorazione (tramandato, adattato e migliorato duranti gli anni) del prodotto, sono fattori determinanti per ottenere oggetti raffinati e di qualità. Porosità, cicatrici, rughe e differenze di tonalità, infatti, non devono essere considerati difetti, ma testimonianze della genuinità di questo materiale così vivo e naturale.

 

Caratteristiche

Il cuoio ha caratteristiche di resistenza e soprattutto igieniche molto elevate che lo rendono particolarmente adatto alla produzione di molti manufatti di uso comune. È noto, ad esempio, che le calzature in cuoio favoriscono la traspirazione e quindi evitano lo sviluppo di funghi, muffe ed altre patologie della pelle e del piede prodotte dal ristagno di umidità all’interno della calzatura. Analogamente per altri manufatti destinati all’abbigliamento umano. Si dice, infatti, che il cuoio “respira” in quanto si lascia attraversare dal vapor d’acqua emanato dal corpo umano.

La particolare struttura del cuoio, costituito da un intreccio tridimensionale di fibre di collagene, una proteina, fa sì che il cuoio abbia anche proprietà termoisolanti, particolarmente utili nella stagione invernale. Viceversa, ha una buona conduttività elettrica e quindi, ad esempio, l’uso di calzature in cuoio evita la sgradevole sensazione di “scossa elettrica” proprio perché viene garantito l’equilibrio elettrico dell’organismo.

Per questi motivi, oltre che per gli aspetti estetici e di piacevole sensazione tattile che i manufatti in cuoio danno, numerosi sono stati e sono ancora i tentativi di produrre materiali alternativi che imitano il cuoio. I materiali prodotti, se talvolta si presentano molto simili al cuoio dal punto di vista visivo, dall’altro non possiedono le altre caratteristiche funzionali e di comportamento che sono dovute alla struttura particolare e non imitabile del vero cuoio.

La Concia

Subito dopo l’abbattimento dell’animale iniziano i processi di degradazione dei tessuti. Prima ancora di arrivare alla putrefazione, ciò determina danni più o meno gravi alla pelle che ne fanno rapidamente decadere la qualità e il valore dal punto di vista conciario. Inoltre, poiché quasi sempre le concerie non sono collocate sufficientemente vicine ai luoghi di produzione delle pelli, i tempi tra la scuoiatura e l’inizio della lavorazione conciaria sarebbero troppo lunghi e i processi di degradazione rischierebbero di distruggere le pelli. Si rende quindi necessario “conservare” le pelli fresche, cioè bloccare il processo di degradazione per un tempo sufficiente al trasporto presso la conceria e all’inizio della lavorazione.

Conservazione

La conservazione deve essere effettuata il più rapidamente possibile e consiste nel creare all’interno della pelle condizioni tali da rendere impossibile la vita e lo sviluppo di batteri e microorganismi che producono gli enzimi della putrefazione. I metodi di gran lunga più utilizzati sono la salatura e l’essiccamento.

Salatura:

Consiste nel saturare la pelle con sale comune di origine marina o minerale. Il sale penetra molto rapidamente nella pelle (che contiene circa il 65% di acqua), produce una parziale eliminazione di acqua per effetto osmotico mentre l’acqua restante diviene una soluzione satura di sale. Queste condizioni sono assolutamente inadatte alla vita e allo sviluppo dei microorganismi e quindi i processi putrefattivi restano inibiti. La salatura è il processo di conservazione più adatto per pelli di spessore elevato, come per esempio le pelli bovine, perché il sale penetra rapidamente nell’intero spessore. Per la salatura con sale solido si utilizza dal 25% fino al 50% di sale sul peso della pelle grezza, mediamente 40%. È un processo molto efficiente, economico, facile da applicare e quindi molto diffuso. Ha lo svantaggio che, una volta giunte in lavorazione, le pelli rilasciano tutto il sale che contengono (circa il 15% del loro “peso salato”) che quindi finisce nelle acque di lavorazione.

Essiccamento:

Consiste nell’eliminare dalla pelle quanta più acqua è possibile (fino a un contenuto del 12-15%). In tal modo si determinano ancora condizioni inadatte alla vita e allo sviluppo dei microorganismi che hanno assoluto bisogno di acqua. L’eliminazione dell’acqua, naturalmente, deve avvenire rapidamente o almeno prima che inizino i processi putrefattivi e deve riguardare l’intero spessore della pelle. L’aspetto certamente migliore di questo tipo di conservazione è che la lavorazione delle pelli essiccate non produce impatti inquinanti poiché non vi sono scarichi tossici o nocivi per la biodiversità animale e vegetale. L’essiccazione, tuttavia, è un processo adatto solo per pelli sottili, per le quali la migrazione dell’acqua dagli strati interni è più rapida (l’evaporazione dell’acqua avviene solo dalle due superfici esterne della pelle e quindi l’acqua contenuta all’interno, per evaporare, deve prima migrare e diffondere dagli strati interni a quelli più esterni, processo che è piuttosto lento). L’essiccazione, quindi, è il sistema di conservazione più adatto alle pelli ovine e caprine mentre non si presta alla conservazione delle pelli bovine, le più numerose.

Il processo conciario è piuttosto lungo e complesso. È sostanzialmente un processo chimico costituito da più fasi successive intervallate da operazioni meccaniche. L’intero processo può essere suddiviso in 3 macrofasi: concia, riconcia, rifinizione. Ciascuna di tali macrofasi, poi, è suddivisa in fasi con scopi specifici. Le operazioni di preparazione alla concia costituiscono le cosiddette operazioni di riviera (in alcune zone detta “ginestrella”). Il nome richiama chiaramente il francese rivièrette poiché sono le fasi che richiedono la maggior quantità di acqua e quindi molte di tali operazioni venivano effettuate in riva ai fiumi.

Le operazioni di preparazione alla concia o riviera, a partire alla pelle grezza (conservata), possono essere così raggruppate:

Rinverdimento – ha lo scopo di ridare alla pelle l’acqua che aveva perduto nel processo di conservazione, eliminare lo sporco, il sangue, lo sterco e il sale nel caso di pelli conservate per salatura. Viene effettuato in bottale con l’impiego di acqua e, nel caso di pelli conservate per essiccazione, di tensioattivi.

Scarnatura – è una operazione meccanica con la quale vengono eliminati i tessuti sottocutanei residui dei tessuti di connessione della pelle alla carcassa dell’animale.

Depilazione – serve a eliminare pelo ed epidermide, e viene quindi effettuata sempre a meno che non si debba produrre una pelle con pelo o una pelliccia.

Calcinazione – serve ad allentare l’intreccio fibroso della pelle. Inoltre, nel corso della calcinazione avvengono altre reazioni chimiche, che verranno descritte più oltre, utili ai fini conciari.

Decalcinazione – la pelle depilata e calcinata è, come già detto, gonfia, turgida e fortemente alcalina e in tale stato non potrebbe essere sottoposta alle operazioni chimiche successive. La decalcinazione serve per abbassare il pH alcalino a valori di circa 8-9, eliminare il gonfiamento e la turgidità, eliminare la calce e il solfuro. Viene effettuata con agenti decalcinanti, cioè prodotti chimici lievemente acidi.

Macerazione – è una operazione enzimatica che ha lo scopo di completare la decalcinazione, eliminare residui di altre sostanze interfibrillari non utili, allentare la struttura fibrosa in modo da favorire l’espulsione dei pigmenti della pelle (melanine) e delle radici di pelo rimaste ancora inglobate e produrre un cuoio più soffice e morbido.

Sgrassaggio – Lo sgrassaggio serve a eliminare o almeno a ridurre il grasso naturale della pelle che potrebbe determinare difficoltà nell’assorbimento e fissazione dei prodotti chimici e difetti di vario tipo sul cuoio finito. Dopo le operazioni di riviera la pelle è tuttavia ancora putrescibile e deve pertanto essere sottoposta alla concia. La concia è l’operazione chimica che trasforma la pelle putrescibile in un materiale imputrescibile, cioè il cuoio.

Dopo la decalcinazione e macerazione la pelle è pronta per reagire con gli agenti concianti. Esistono numerosi tipi di concia, i più diffusi sono quella al cromo e quella vegetale.

Concia al cromo – È il tipo di concia di gran lunga più diffuso. Si valuta che circa l’80-90% di tutti i cuoi prodotti nel mondo siano conciati al cromo. È relativamente semplice da eseguire, è economica, abbastanza rapida e sufficientemente flessibile. In pratica con la concia al cromo si può produrre cuoio adatto a qualsiasi scopo (eccetto cuoio per suola di calzature). La concia al cromo è fondata sulla capacità del cromo trivalente (Cr3+) di formare complessi con i gruppi carbossilici del collagene (di cui sono costituite le fibre della pelle). Questa capacità è limitata al cromo trivalente e quindi la forma esavalente (Cr6+) come nei cromati e bicromati, non ha alcun interesse dal punto di vista conciario. All’inizio dell’impiego della concia al cromo (fine Ottocento – inizio Novecento) cromati e bicromati venivano utilizzati per produrre sali di cromo trivalente in conceria per riduzione con melassa o altri riducenti. Ma ormai da tempo i sali di cromo trivalenti sono divenuti disponibili sul mercato a costi minori e quindi in conceria vengono utilizzati esclusivamente sali o composti del cromo trivalente. Al termine della concia la pelle si presenta di colore verde-azzurro, con tonalità diverse a seconda dei prodotti utilizzati nel piclaggio e nella basificazione. In tale stato, infatti, il cuoio conciato viene chiamato “wet-blue” con riferimento al fatto che è bagnato e ha un colore nel campo dell’azzurro. Il wet-blue, essendo ormai stabile nel tempo, può anche essere commercializzato. Molti Paesi produttori di pelli, infatti, non disponendo della capacità tecnologica per produrre cuoio finito, preferiscono esportare wet-blue piuttosto che pelli grezze per usufruire di un maggior valore aggiunto. L’Italia, Paese importatore di grezzo, importa una crescente quantità di pelli allo stato wet-blue, il che, se da un lato rappresenta un vantaggio dal punto di vista ambientale (le fasi di riviera sono quelle che producono maggior inquinamento), dall’altro rappresenta uno svantaggio dal punto di vista della tecnologia conciaria, perché il conciatore si trova a dover lavorare un prodotto di cui non conosce la storia e spesso in partite disomogenee perché provenienti da piccole concerie diverse.

Concia al vegetale – La concia al vegetale o con tannini vegetali è la concia più antica. Fino alla fine del XIX secolo quasi tutti i cuoi erano conciati al vegetale. I tannini vegetali sono sostanze complesse, a carattere fenolico, contenute in tutti i vegetali. Naturalmente alcuni vegetali ne contengono quantità maggiori, altri minori. I tannini prendono il nome dalla pianta da cui provengono e si parlerà quindi di tannini di castagno, di sommacco, di quebracho, di mimosa, di quercia, ecc. Danno tutti al cuoio conciato un colore nelle tonalità del marrone, più o meno intenso ma con fiamma diversa a seconda della pianta di provenienza. Sostanzialmente si tratta dello stesso meccanismo descritto per la concia al cromo soltanto che, in questo caso, essendo il chimismo diverso, le variazioni del pH per favorire penetrazione e fissazione sono di segno opposto. La penetrazione del tannino, infatti, viene favorita utilizzando un pH non troppo acido (tra 5 e 6). In tali condizioni i gruppi fenolici dei tannini sono prevalentemente dissociati e non in grado, quindi, di formare legami idrogeno. Dopo che la penetrazione sia stata ottenuta, viene ripristinata la capacità di legame abbassando il pH con acidi in modo che i gruppi fenolici dei tannini ritornino indissociati e quindi in grado di formare legami idrogeno.

Maschere veneziane

La storia della maschera veneziana risale a molti anni fa, infatti esisteva, già nel 1271, una scuola dei “maschereri”. Nel 1773 esistevano ufficialmente 12 botteghe di maschere con 31 lavoranti: poche in confronto all’uso che se ne faceva in quei anni. Ma allora molte maschere venivano fabbricate “in nero” dando lavoro a tante persone ed erano famose in tutta Europa.

Nel 1600 si abusava talmente nell’uso della maschera che al governo della Repubblica di Venezia toccò fare delle regole che ne limitavano l’utilizzo. Si proibiva di indossarla nei periodi che non fossero quelli di carnevale, nei luoghi di culto, niente armi, niente schiamazzi di gruppo e indossarla a orari prestabiliti. L’uso della maschera veniva proibito alle prostitute e agli uomini che frequentavano i casini. Per maschere si intendeva anche mettersi la barba e baffi finti. Maschera era anche la donna travestita da uomo e viceversa. Altresì la bauta era d’obbligo in cerimonie ufficiali e feste pubbliche indossando pure il tabarro.

Produzione e commercio

La produzione mondiale delle pelli bovine si aggira sui 130 milioni di pezzi all’anno. L’Europa è la massima produttrice non solo rispetto alla quantità, ma anche alla qualità. Essa infatti produce una forte percentuale di pelli pesanti, provenienti specialmente dall’Europa occidentale e centrale e circa l’8% delle pelli a grande superficie provenienti in gran parte dalla regione alpina e cioè dalla Svizzera, dalla Francia, dall’ovest della Germania, dal nord dell’Italia, e poi anche dal Belgio, dai Paesi Bassi, dalla Gran Bretagna, dalla Spagna e dal Portogallo. Pelli piuttosto leggiere producono invece la Russia con la Siberia e i Balcani. Anche l’America Settentrionale produce una forte percentuale di pelli pesanti, mentre invece l’America Meridionale produce in prevalenza pelli di peso medio. In Africa se si toglie l’Etiopia e l’Unione sudafricana, che producono pelli di buon peso, tutti gli altri paesi hanno pelli di qualità piuttosto scadente. L’Asia, infine, produce quasi esclusivamente pelli di peso kips.

L’industria conciaria italiana è storicamente considerata leader mondiale per l’elevato sviluppo tecnologico e qualitativo, lo spiccato impegno ambientale e la capacità innovativa in termini di contenuti stilistici.

Formata soprattutto da piccole e medie imprese, sviluppatesi all’interno di distretti specializzati per tipologia di lavorazione e destinazione merceologica (scarpe, borse, giubbotti, divani, interni d’auto ecc.), la produzione italiana rappresenta circa il 16% della produzione mondiale e il 66% della produzione europea; è uno dei settori italiani maggiormente internazionalizzati, esportando in 121 paesi, con un’incidenza del 26,9 % di export su mondo nel 2010.

Le regioni più importanti sono il Veneto, che produce prevalentemente pelli di ampia superficie destinate ad arredamento ed automobili; la Toscana, che produce pelli per pelletteria, tomaia e cuoio da suola; la Campania, che si è specializzata nella lavorazione delle pelli destinate ad abbigliamento, scarpe e pelletteria; e la Lombardia che lavora soprattutto pelli piccole per borse e calzature. Dal punto di vista della qualità, il prodotto italiano è unanimemente considerato il primo al mondo e rappresenta il punto di riferimento per i beni di consumo di fascia alta. Il fatturato 2010 supera i 4.5 miliardi di euro, di cui il 70% derivante da vendite all’estero. La sua importanza economica è maggiore in quanto strategicamente posizionato nei confronti della moda e dei manufatti di utilizzo quotidiano. È inoltre determinante il suo ruolo nel Made in Italy.

Principali tipi di pelli

Pelli bovine

Sono le pelli che permettono il miglior utilizzo in quanto la loro superficie è la maggiore rispetto a tutte le altre. Hanno una struttura forte e resistente da cui si possono ricavare tutti gli articoli: tomaia e suola per calzatura, abbigliamento, arredamento, pelletteria e valigeria, articoli tecnici. Sono le pelli più diffuse e provengono principalmente da vacche, tori, buoi, vitelloni, vitelli e bufali. il fiore presenta un disegno uniforme su tutta la superficie e non particolarmente marcato. Nelle pelli di bovino adulto – le cosiddette pelli pesanti – i follicoli piliferi sono piuttosto grossi e spaziati in modo equidistante tra loro. Nel vitello il disegno è analogo, ma con follicoli più piccoli e ravvicinati; si dice infatti che il fiore sia più chiuso e fine (in gergo conciario “gentile“). Quando vengono conciate intere sono chiamate nel termine generico di bovine. Più frequentemente vengono utilizzate parti separate: mezza o schiappa, spalla, groppone, fianco, avancorpo, culatta.

Lo spessore delle pelli di animali grandi (1-2 cm) è troppo elevato per consentirne l’utilizzo tal quale, per cui è necessario effettuare la spaccatura in due o più strati parallelamente alla superficie, dando luogo al lato fiore spaccato, lo strato superiore più pregiato, e a uno o più lati carne spaccati o croste, di minor valore, ma utilizzabili per molti articoli.

Pelli caprine

Le pelli caprine provengono da capre e capretti. Hanno una struttura compatta e un fiore con grana particolarmente marcata, tanto più pregiata se chiusa e fine. Analizzando la superficie sono visibili dei raggruppamenti di follicoli piliferi di piccole dimensioni, corrispondenti ai peli lanosi, al di sopra di un minor numero di follicoli molto più grandi, sede dei peli setosi. Possiedono una notevole resistenza meccanica, specialmente se considerata in riferimento allo spessore sottile.

Pelli ovine

Le pelli ovine provengono da agnelli, pecore e montoni. Sono in genere piuttosto morbide, soffici, estensibili, caratteristiche che le rendono particolarmente adatte per l’abbigliamento e la guanteria. Il fiore si presenta liscio, con disposizione dei follicoli piliferi abbastanza uniforme e disegno poco marcato. Un particolare tipo di ovini sono gli incrociati, le cui pelli, a intrecci fibroso più compatto, sono resistenti meccanicamente e quindi idonee anche alla produzione di tomaia e pelletteria.

Pelli suine

Sotto questa voce vanno comprese le pelli di maiale domestico, cinghiale, pekari (cinghiale americano) e carpincho (roditore acquatico sudamericano). Sono caratterizzate da una struttura fibrosa piuttosto compatta e da una grana tipica, che presenta follicoli piliferi disposti a gruppi di tre secondo i vertici di un triangolo. Caratteristica specifica delle pelli suine è quella che i follicoli piliferi attraversano tutto il derma, fino allo strato sottocutaneo, per cui il cuoio mostra i fori sia dal lato fiore che dal alto carne. Sono utilizzate per una vasta gamma di articoli: abbigliamento, guanteria, foderame, borsetteria ecc.

Altri tipi di pelle

Piccole produzioni, di entità variabile secondo le esigenze della moda e della disponibilità sul mercato, riguardano le pelli provenienti da animali come canguro, cervo, rettili (coccodrilli, lucertole, serpenti), pesci (squalo, razza, salmone, carpa, anguilla, pesce persico ecc.), uccelli (struzzo, zampe di gallo e di gallina, zampe di tacchino) e anfibi (rana, rospo). In alcune zone geografiche vengono conciate anche pelli equine (cavallo, asino, mulo), di renna, camoscio, capriolo, daino, cammello, antilope, un tempo molto diffuse anche in Europa.

Le pelli di canguro sono caratterizzate da una notevole resistenza meccanica. Originariamente venivano infatti lavorate per usi sportivi. Oggi il canguro viene destinato ai settori più diversi: abbigliamento moda, borsetteria e tomaia, oltre che foderame e suoletta. La grana ha un disegno non molto marcato, con fori rotondi e distribuiti in modo molto uniforme. Le pelli di cervo hanno il pregio di avere un’elevata morbidezza associata a una grande resistenza meccanica. Il fiore ha una grana molto evidente e caratteristica. Trovano impiego nella produzione di calzature, capi d’abbigliamento, articoli di pelletteria e guanti.

Le pelli di rettili, pesci, uccelli e anfibi, grazie alla presenza di pigmentazioni, squame, carnificazioni e disegni particolari vengono prevalentemente destinate ad articoli di pelletteria, tomaia per calzature moda o a rifiniture per capi di abbigliamento

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