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L’antica arte dello scalpellino – scultori senza valore o maestri incompresi?

Scritto il04/07/2018 da
Love0

Il lavoro di scalpellino esiste fin dagli albori della civiltà. Ha attraversato i secoli fino ad arrivare a noi praticamente immutato.

Gli strumenti sono diventati più efficaci e resistenti, grazie all’introduzione di nuovi materiali e nuove forme, ma gran parte dei segreti del mestiere sono sempre gli stessi e in alcuni casi sono segreti di famiglia custoditi gelosamente.

Un’altra cosa rimasta, sfortunatamente, invariata è la nomea di questo mestiere.

Ancora oggi se aprire un dizionario cartaceo, o ne spulciate uno online, quasi sicuramente incapperete in una sezione della voce “scalpellino” che sottolinea che il termine viene usato in senso dispregiativo per identificare scultori senza alcun valore, artisti senza arte.

Come è nato questo mestiere e cosa significa essere uno “scalpellino” ai tempi nostri?

Da dove nasce il disprezzo per questo lavoro?

In questo articolo cercheremo di rispondere a queste e molte altre domande. Faremo un rapido excursus lunga la storia di questo mestiere ricco di aneddoti ed eroi dimenticati.

Cosa ne dite di accompagnarci in questo viaggio? Chissà, potreste scoprire che il vostro bis-bis-bis-bisnonno si è occupato delle facciate di qualche famoso palazzo!

Nell’antichità, tra sabbia e sudore

I primi scalpellini di cui sappiamo sono quelli che lavorarono alla costruzione delle Grandi Piramidi.

Gli scalpellini erano coloro che conoscevano abbastanza bene il materiale da sapere come tagliarlo e lavorarlo in modo da avere i blocchi necessari.

La denigrazione di questo mestiere ebbe inizio in Egitto, agli albori dell'umanità e di questa professione.

Gli scalpellini erano "operai della cava capaci di tagliare la pietra e smussarla con lo scalpello per costruire opere in serie", per cui erano operai, non artisti, e non facevano arte perché dovevano creare tutti blocchi uguali seguendo le specifiche di qualcun'altro.

Nonostante la bassa estrazione sociale e la sufficienza con cui venivano trattati, senza gli scalpellini l'antichità sarebbe stata ben più differente e dura. La pietra era il materiale più resistente a disposizione per svariati usi (case, ruote, mobilio, ecc...) e loro erano gli unici in grado di metterci le mani.

La (ri)nascita di un'arte

La situazione non cambiò particolarmente durante i Greci e i Romani. La vera evoluzione del ruolo dello scalpellino la si ebbe durante il Medioevo.

Lo scalpellino entrò a far parte delle varie gilde e corporazioni delle arti e dei mestieri delle città italiane. Finalmente esisteva ufficialmente "l'arte dello scalpellino" e a questi artisti venivano commissionai bassorilievi e rifiniture esterne-interne di case e palazzi.

Rimase etichettata come arte minore e chi la operava ancora lungi dall'essere considerato un vero artista, ma lo scalpellino rinascimentale non solo era parte di una gilda ma aveva più libertà di movimento e poteva scegliere la pietra da utilizzare e farsi valere sul cliente.

Purtroppo, non essendo considerati dei veri artisti, il nome di questi scalpellini si è perso nella storia, anche di coloro che hanno lavorato ai palazzi signorili più importanti.

Oltre all'edilizia, in questo periodo, gli scalpellini italiani si occupavano anche di creare vari manufatti più o meno pregiati. Le macine dei mulini, gli abbeveratoi per gli animali, ecc... tutto ciò che era in pietra era passato, almeno per una fase, nelle mani di uno scalpellino.

Era un lavoro duro, anche solo per la pesante e poco collaborativa materia prima. Lo scalpellino lavorava per ore la pietra, consumando ingenti energie e spesso era costretto a lavorare in posizioni scomode o poco sicure (soprattutto quando si trattava di palazzi) che gli assicuravano come minimo il mal di schiena.

Questi erano problemi evidenti, di cui tutti erano a conoscenza, ma ciò che minava veramente la salute degli scalpellini era una cosa ben più subdola.

Durante la lavorazione della pietra si creava una quantità pericolosa di polvere e lo scalpellino non doveva seguire le norme di sicurezza, per cui niente occhialoni e mascherina.

Molti scalpellini, in giovane età, erano già affetti da asma o altri problemi respiratori. Un lavoro duro che consumava chi lo operava e minava i suoi polmoni, non stupisce che lo scalpellino dei tempi passati tendeva a vivere meno della media nazionale.

Fuga di "mani"

Gli scalpellini rinascimentali di città riuscirono a guadagnare un loro spazio nel mondo e la dignità. A passarsela ancora male erano i "cavatori", ovvero gli operai della cava deputati ad estrarre i blocchi.

Adesso è un lavoro che non esiste più, svolto principalmente da macchinari e dagli operai altamente specializzati che sanno usarle. I blocchi moderni sono veramente fatti in serie e un "cavatore" vecchio stile non riuscirebbe a essere concorrenziale.

Il mestiere dello scalpellino "di città" non è però morto, continua grazie agli artigiani della pietra, soprattutto quelli specializzati nel marmo.

In Italia il mestiere di scalpellino esiste e viene tramandato, solitamente in famiglia, da secoli. Anche se privi di credito ci sono molte famiglie che negli anni hanno portato avanti quest'arte e si sono fatte un nome.

Lo scalpellino italiano, come tante altre cose, è un "must own" in molti paesi esteri. Non abbiamo tracce sicure degli spostamenti degli scalpellini pre-900, ma per quanto riguarda gli ultimi 120 anni la situazione è ben diversa.

Abbiamo diari e contratti risalenti fin all'inizio del secolo scorso. Le prime "migrazioni" di scalpellini tendevano a portarli in Russia, soprattutto nella zona siberiana in cui erano richiesti per le gallerie o per occupazioni umili. Il compito di questi scalpellini era aiutare i locali e insegnare loro l'arte, in una terra intransigente.

La seconda ondata era ovviamente diretta in america e qui gli scalpellini italiani divennero una parte importante dell'edilizia soprattutto newyorchese.

Abbiamo perso anche molti maestri scalpellini durante le persecuzioni dei fascisti, alcuni sono tornati in patria ma molti hanno esportato l'arte all'estero e le loro tecniche si sono fuse con quelle degli artigiani locali.

Sfida tra macchina e scalpello

Lo scalpellino contemporaneo tende a fare lavorazioni più certosine e rifinite, anche perché non è più compito suo fare l'oggetto vero e proprio partendo dal blocco. Hanno però un ruolo cardine nell'economia mondiale: sono gli unici capaci di rimetter mano al lavoro dei loro predecessori.

Solo loro conoscono le proprietà della pietra e sono a conoscenza dei metodi usati in precedenza per lavorarla, per cui sono gli unici capaci di restaurare, senza danneggiare, tutte quelle grandi opere rinascimentali.

Senza di loro palazzi cadrebbero e invece di antichi merli e balaustre rischieremo di avere tralicci di metallo o semplicemente un cartello con scritto: "Attenzione, pericolante. Non avvicinarsi".

Sono anche gli unici capaci di riprodurre fedelmente le opere del passato oppure crearne di nuove che però diano l'idea di essere antiche. Una macchina può tagliarti un blocco ma non è in grado di creare un bassorilievo, il massimo che può fare è copiarne uno già esistente.

Anche in quel caso il risultato finale non è certo, ogni blocco di marmo è unico e non è detto che una sagoma perfetta per un certo blocco vada bene per un altro. I colori potrebbero essere così differenti da rendere il risultato finale poco gradevole o il blocco potrebbe letteralmente cedere perché la macchina va a colpire un punto debole senza accorgersene.

"Traguardare" tra "Ponciotti" & "Giandini"!

Concludiamo con una rapida carrellata di tecniche e nomenclature tipiche di questo mestiere. Così se vi capita di ordinare qualcosa da uno dei nostri artigiani del marmo, potrete dare sfoggio di conoscenza.

Per fare un esempio: "traguardo" in gergo non serve solo a parlare di un obbiettivo da raggiungere ma identifica anche la capacità di lavorare la pietra grezza in maniera precisa. Quindi "ho raggiunto il traguardo", oppure "ho traguardato", può significare aver fatto a modino la prima sgrossatura della pietra, ma non automaticamente aver finito il lavoro.

La "Cognara" è una fenditura verticale lunga pochi centimetri fatta per tagliare la pietra. La profondità del taglio dipende dalla grandezza del masso oltre all'abilità dello scalpellino nell'individuare il punto debole del masso.

I "Ponciotti" e "Giandini" sono caduti un po' in disuso, ma erano i ferri del mestiere cardine in cava perché servivano a tagliare e rifilare la pietra.

Inizialmente erano fatti in acciaio, spesso acciaio di riciclo riforgiato alla bisogna e temprato per essere utilizzabile.

Attualmente l'acciaio non viene quasi più utilizzato, le macchine usano punte e cavi diamantati ma anche gli strumenti a mano sono fatti, o rivestiti, di materiali progettati appositamente per essere resistenti e indeformabili.

Il Ponciotto è un cilindro di 4-5cm di diametro e lungo circa il doppio. La forma della punta può variare a seconda del tipo di pietra o lavoro da fare.

Non è però uno strumento da taglio, viene inserito dentro la cognara e spinto in profondità. Si tratta dell'evoluzione dei cunei di legno, un tempo messi nelle fenditure e bagnati per poi aspettare che la dilatazione spaccasse la pietra.

Il Giandino, invece, è una sorta di scalpello spigolato utilizzato per rifilare. Il tipo di taglio dipende principalmente dalla forza che viene impressa nel martello che lo picchia.

"Bocciardare" significa picchiare la pietra con una placca, solitamente di piccole dimensioni, più o meno dentellata a seconda del tipo di lavorazione da fare. Una volta era un processo fatto completamente a mano con martelli modificati, adesso solitamente se ne occupano delle macchine computerizzate che sfruttano la pressione dell'aria compressa per colpire.

"Facciavista" è una pietra lavorata che però mantiene lo spacco naturale. Non viene tagliata o segata in alcun modo, al massimo viene usato calce e intonaco per unirle ad altre pietre o per rendere alcune superfici meno spigolose. In breve non si toglie nulla, al massimo si aggiunge.

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